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di
Dario Bevilacqua
(***)
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Marco,
Peppe e Gianluca
lavorano nella
sede romana
del più
grande call
center d’Italia:
l’Atesia.
Marco, Peppe
e Gianluca sono
precari. Che
significa essere
precari? La
definizione,
spiega Celestini,
è difficile,
come lo è
un’eventuale
tassonomia o
quantificazione
(sono circa
14 milioni ma,
emblematicamente,
il numero muta
ogni giorno)
di tale categoria
di lavoratori.
In verità,
ciò che
è precario
è il
loro contratto:
gli operatori
dei call center,
come molti altri
individui che
prestano la
loro forza lavoro
in quasi tutti
i settori della
società,
non vedono tutelato
il loro lavoro
da alcuna garanzia
giuridica sostanziale,
né da
contratti collettivi;
non sono sindacalizzati
e non hanno
diritto a ferie
o a permessi
di malattia.
Il loro salario
è spesso
a cottimo e
comunque insufficiente.
E possono essere
licenziati in
qualunque |
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Il
docu-film dell'attore-scrittore
Ascanio Celestini
colpisce per
la semplicità
e la sincerità.
Il problema
della precarietà
all'interno
del call center
più grande
d'Italia, Atesia,
non costituisce
il solito discorso
etico-moraleggiante,
portato avanti
da molti altri
artisti (come
Beppe Grillo,
ad esempio).
Esso è
un'asciutta
documentazione
da parte delle
parole stesse
di chi ha lavorato
in quell'azienda
e ne ha subito:
1) lo sfruttamento
per pochi centesimi
al minuto (85
centesimi lordi
per 2 minuti
e 40 secondi
come anche per
2 ore). 2) l'abbassamento
del proprio
salario (di
per sé
già basso,
ma è
meglio passare
da 85 a 80 centesimi,
no?). 3) la
subordinazione
ad un potere
che non accetta
assemblee autorganizzate,
quando si scatena
una protesta.
4) i sindacati
che si mettono
d'accordo con
l'azienda e,
ottenendo agevolazioni
in campo sanitario,
tredice- |
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momento. Un
elemento accomuna
i così
detti lavoratori
precari: l’incapacità
di resistere,
la mancanza
di forza per
reagire, l’ineluttabilità
della loro condizione.
Sono consapevoli
che, pur vivendo
in quello che
viene venduto
come “il
migliore dei
mondi possibili”,
se perdono quel
poco che hanno
sono perduti.
E così,
come l’uomo
che vede il
rubinetto gocciolare
(di cui parla
Celestini nel
prologo e nell’epilogo
del documentario)
e non interviene,
lasciando che
la stanza e
poi il palazzo
intero si allaghino,
anche loro si
lasciano andare,
senza neanche
più pensare
a provare a
cambiare la
situazione che
si fa a poco
a poco sempre
più tragica.
Ma Marco, Peppe
e Gianluca,
e con loro altri
lavoratori dell’Atesia
come Cecilia,
Valerio e Manuela,
sono diversi
dagli altri
“precari”:
creando, nel
2000, l’“Assemblea
Coordinata e
Continuativa
contro la precarietà”,
costituiscono
una prima forma
di sindacato
autogestito,
un comitato
interno, con
funzioni di
informazione
(la produzione
di un piccolo
giornale), discussione
(nelle frequenti
e affollatissime
riunioni) e
protesta (organizzando
scioperi e sit-in).
Grazie al loro
sforzo ottengono
un’ispezione
da parte dell’Ufficio
Provinciale
del Lavoro.
Il rapporto
dell’organo
ispettivo segnerà
una vittoria,
che si rivelerà
di Pirro, in
un Paese in
cui sindacati
e politici voltano
le spalle a
chi chiede loro
aiuto e lasciano
che il peso
insostenibile
della crisi
economica poggi
tutto sulle
spalle dei deboli.
Ma l’esperienza
di Marco, Peppe
e Gianluca,
e anche di Ascanio,
che realizza
un documentario
semplice e accattivante,
per lo più
costituito dalle
interviste ai
lavoratori,
e canta e recita
per loro, è
un esempio illuminante:
è un
faro per tutti
i reietti, per
tutti i deboli
e per tutti
gli oppressi,
che, uniti,
possono comunque
provare a lottare.
E non importa
se alla fine
non otterranno
ciò che
chiedevano:
ciò che
è importante
è che
abbiano lottato
per qualcosa
in cui credevano.
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sima e quant'altro,
per i lavoratori
portano il salario
a 550 euro,
cioè
sotto la soglia
della povertà.
5) gli intervistati,
ma anche altri
di loro, che
rifiutano di
ritornare a
quel lavoro
o si licenziano
o vengono licenziati.
6) E infine
la polizia che
manda loro degli
avvisi di garanzia
per le manifestazioni
che avevano
progettato con
il collettivo.
Questa è
l'Italia del
lavoro. In cui
il lavoratore
di 40 anni così
come lo studente
di Università
si muovono sullo
stesso percorso
minato. La necessità
di avere un
lavoro e di
ottenere dei
soldi per vivere
portano quattromila
persone all'interno
di un grande
edificio nei
pressi di Cinecittà;
a fare cinquemila
click sul mouse
per vedere i
dati del cliente
che telefona
(Cecilia, una
ragazza intervistata,
dovrà
ricoverarsi
per un problema
grave di tendinite);
a parlare anche
per molto tempo
con gente che
fa scherzi di
ogni sorta o
con "maniaci
zozzoni che
non hanno i
soldi per potersi
pagare la telefonata
sulle linee
erotiche",
come dice lo
stesso Celestini,
perché
almeno si cerca
di guadagnarti
il proprio salario;
a vedersi riconosciuti
dei diritti
ma senza un
aumento decente
del salario,
soltanto perché
l'azienda deve
evitare di versare
troppi soldi
all'INPS e all'INAIL;
a sostenere
una divisione
in classi all'interno
del posto di
lavoro, in cui
vi sono i lavoratori
alle postazioni
e gli ATS, cioè
coloro che controllano
l'andamento
del lavoro,
senza mai vedere
i potenti che
stanno nei piani
alti e muovono
sulle loro teste
decisioni improrogabili
e di livellamento
lavorativo (infatti,
chi farà
parte del collettivo
non vedrà
il proprio contratto
rinnovato),
o di classismo,
come la suddivisione
dei clienti
in copper (pezzente),
silver e gold
(i quali hanno
degli operatori
specifici e
di 'lusso')
e, infine, una
applicazione
della legge
n.30 (quella
di Biagi) che
non risolve
niente ma fa
il gioco delle
aziende per
sfruttare al
massimo senza
pagare più
di tanto; per
ultimo, il dulcis
in fundo, cioè
gli stessi lavoratori
che vengono
indagati. Ma
questo è
giusto se si
prende alla
lettera la legge:
c'è stata
una violazione
a causa di picchetti
o manifestazioni
non autorizzate.
Ma sorge una
considerazione:
l'Atesia non
paga i dipendenti
il giusto perché
i contratti
non vengono
rispettati,
eppure la legge
non ha effettuato
nessuna sanzione
pesante per
ripristinare
una condizione
vivibile di
lavoro, quindi
il nostro è
ancora un paese
di pezzenti-ricchi,
che si attaccano
ad ogni centesimo
pur di non voler
cedere niente
al prossimo,
quando gli è
legittimamente
dovuto? O è
più facilmente
un paese di
merda, come
disse Luttazzi?.
Qui la volgarità
è d'obbligo,
di fronte alla
tristezza di
una situazione
che va avanti
da molti anni.
E se qualcuno
si offende,
forse si sente
in colpa di
sfruttare chi
chiede solo
di vivere senza
subirne le angherie.
Ma forse, come
dice Celestini
all'inizio e
alla fine del
film (con l'esempio
dell'uomo e
della goccia),
l'Italia è
un paese di
gente che decide
di suicidarsi
se deve stare
ad aspettare
o ad ascoltare
i partiti e
il Governo,
perché
è inerte
e qualunquista.
Il film, si
legge su giornali
e siti internet,
viene diretto
dal 'cantore
delle ballate',
dal 'comico
intelligente',
verte sul genere
'commedia'.
Ma a me, e questo
lo dico personalmente,
ha fatto piangere
e arrabbiare
al tempo stesso.
Non c'è
più niente
da ridere.
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