OMEN - IL PRESAGIO
 

Omen-il-presagio recensione

 
Ma girare un film di paura porta male? Dopo "Il Corvo", "Poltergeist" e "L’Esorcista: la genesi" la domanda sorge spontanea. La troupe del remake di "The Omen" ha subìto un’intossicazione alimentare di origine sconosciuta: le analisi hanno escluso ogni ipotesi di contaminazione del cibo. Uno strumento di misura utilizzato durante una ripresa ha raggiunto il valore “666”. E come se non bastasse, sviluppando alcune foto di scena di Pete Postlethwaite, sarebbero apparse delle misteriose tracce scure a forma di lancia vicino alla testa dell’attore. Dulcis in fundo, Julia Stiles è stata colta da un attacco di diarrea per aver preso un lassativo al posto di un pastiglia per il mal di testa. L’attrice era andata in una farmacia del posto (si girava nella Repubblica Ceca) per chiedere dell’aspirina ma, capendosi male,le han-  
 
no rifilato tutt’altro. Chi ha visto il film del ‘76 sa che non si tratta affatto di un buon segno. La storia della maledizione, per alcuni gonfiata dall’ufficio stampa, contribuirà sicuramente al successo economico del film, ma lo ha anche irrimediabilmente bollato come “pericoloso” e “malsano”. Clonare il figlio di Satana si rivela, dunque, l’ennesima furbetta idea degli studios. Dentro la deriva dei generi, tutto nel film sembra  
pensato su due livelli. A seconda di come lo guardi, Damien può apparire un bravo bambino o uno strumento di terrore. Proprio questa duplicità di interpretazione del piccolo Seamus Davey-Fitzpatrick è uno dei migliori meccanismi di un’opera maneggiata e diretta senza piena coscienza. Aleggia perenne l’ombra di Roman Polansky. Il film, infatti, si presenta come un’elaborazione di temi e stilemi appartenenti all’epoca di Rosemary’s baby. Non si tratta solo di prestiti letterari, ma di strutture fondanti come il gioco delle sembianze, il rapporto filiale, il riaffiorare del passato, quello schema del “passaggio necessario attraverso le tenebre” che modella la vita secondo il vecchio Hitchcock. John Moore ("Behind Enemy Lines", "Il volo della Fenice") ripete dunque la tradizionale parabola della discesa agli inferi per poter uscire a riveder le stelle, ma potenziandola ipertroficamente e sottolineandone l’aspetto infantile-demoniaco. La progressione verso la verità del sé avviene per tappe. E lo spettatore, un po’ come Dante che all’inizio della Commedia incomincia a salire, ma viene risospinto indietro dalle tre fiere perché deve tenere “altro viaggio”, s’inerpica nella storia, tra guizzi di tensione e qualche occhiataccia di sbieco dell’Anticristo. Per poter salire occorre prima scendere. Anche se non è tanto bello pensare a Julia che scoreggia mentre Damien la uccide.

(di Bruno Trigo )

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