LA PROMESSA DELL'ASSASSINO
 

recensione

 
Forse c’era da aspettarselo che con “La promessa dell’assassino” avremmo scoperto un nuovo David Cronenberg. Già con “A History of violence” il suo sguardo dietro la macchina da presa rivela un cambiamento in atto. Il Cronenberg geniale di “Videodrome”, film avveniristico per gli anni ottanta, quasi un documento, uno sguardo che annuncia i mutamenti antropologici prodotti dalla pervasività dei media sullo spazio visuale umano, generando novità nelle coscienze e nei comportamenti e modificandole, è ormai approdato ad un modo di fare cinema più compatto e più asciutto. Senza tuttavia abbandonare il tema cruciale delle sue narrazioni rappresentato dagli stati alterati della coscienza umana, Cronenberg, ormai giunto ad una consolidata esperienza quarantennale di cineasta, si propone ora, con uno stile più fruibile per il  
 
grande pubblico, meno selettivo, ma assolutamente non meno efficace e convincente. In una Londra uggiosa e triste, una notte, in un ospedale, una ragazza russa quattordicenne, partorisce a stento una bambina. La bimba vive, ma la madre muore di parto. Anna, la levatrice (Naomi Watts-nomination all’Oscar) che ha assistito la ragazza durante il parto, raccoglie i suoi affetti personali,  
tra cui trova un diario scritto in russo. Nel diario è narrata la storia di una vita di violenze subite e maltrattamenti, addirittura si fa riferimento ad uno stupro di cui la bambina sarebbe il frutto. Anna, coraggiosamente, compie delle indagini e s’imbatte nella fratellanza criminale est-europea dei “Vory V Zakone”, una delle cui famiglie più eminenti a Londra è capeggiata da Semyon (Armin Mueller-Stahl-nomination all’Oscar). Semyon è proprietario di un elegante ristorante transiberiano alla periferia londinese. Il suo unico figlio Kirill (Vincent Cassel) amministra maldestramente le losche fortune, ma è affiancato continuamente dal suo fedele autista Nikolai Luzhin (Viggo Mortensen), che vigila sull’operato dell’instabile padrone. Per ironia del destino le vite di Nikolai e di Anna Khitrova si incontrano e i due, alla fine, collaborano per portare alla luce una verità intessuta di intrighi, violenze, assassini e commercio illecito di ragazze destinate alla prostituzione. Un intreccio di fatti ed eventi, di colpi di scena, che i protagonisti vivono in perenne condizione di sentimenti contrastanti. Cronenberg, come già in “A History of Violence”, tratta il doppio che è presente nell’animo umano, nella coscienza che muta al mutare degli eventi che si presentano. In “La promessa dell'assassino” Viggo Mortensen, glaciale e incisivo, spigoloso e comunicativo, mostra (ciò che non è avvenuto in A History of Violence) il doppio del suo personaggio: la sua malvagità efferata ed il suo lato di uomo buono. Mattatore dello schermo, Viggo Mortensen, muove le scene con lo sguardo, con la staticità del suo corpo, riuscendo a catturare l’attenzione in un crescendo di pathos ed emozioni. Naomi Watts è perfetta nella sua interpretazione di donna attanagliata dall’ossessione di rendere giustizia all’adolescente morta e di dare un futuro alla bambina orfana. Come in tutti i suoi film, Cronenberg anche in “La promessa dell’assassino” usa il linguaggio dei corpi (reso all’estremo in “Videodrome”), mappa di un’identità in continua mutazione. Il tatuaggio è, in questo film, il linguaggio elettivo e comunicativo per la casta criminale dei Vory. Il duello all’ultimo sangue in una sauna, tra Viggo Mortensen, completamente nudo, con il corpo meticolosamente tatuato, e due criminali ceceni, rompe l’atmosfera sospesa che avvolge gran parte del film e fa esplodere una scena di noir eclettico, inquietante e violento. Forse quest’ultimo lavoro di Cronenberg non ha la genialità intessuta nella trama. Qualche scivolata è imputabile alla sceneggiatura. Mostra comunque una raggiunta perfezione registica, contenendo il meglio di Cronenberg per le tematiche trattate, la fotografia e la scenografia. Gran colpo di genio è stata la sua presentazione durante il giorno di chiusura al Film Festival di Torino.


(recensione di Rosalinda Gaudiano )


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